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Giovanni Battista Maria Falcone, Dalla Sicilia a Malta Testi di Arturo Carlo Quintavalle
Electa Milano 1997
ISBN 88-435-6115-4
Malta, Sicilia, foto come archeologia del tempo
di Arturo Carlo Quintavalle
I libri attorno a un tema, i libri su un paesaggio, libri su una sola terra, i libri che testimoniano di un viaggio, i libri che sono legati a una committenza turistica. Questi libri dovrebbero fare, e a me intatti fanno, una enorme paura perché nascono da un compromesso. Cerchiamo di spiegarci. Abbiamo prima di tutto la committenza che del volume sponsorizza - si dice cosi - l'edizione. E questa committenza naturalmente non è gratuita, non e asettica, non sta fuori del risultato dell’opera ma intende condizionarlo, intende prefigurarlo. E il problema a quel punto è solo della cultura della committenza che dal libro stampato, e dunque dal fotografo, non si aspetta più di tanto idee nuove, idee diverse o rivoluzionarie, ma semplicemente l’esecuzione di un proprio e preesistente progetto. La committenza si proietta sul fotografo e stabilisce le linee, i modelli, le ragioni, i tempi della sua fotografia. La committenza, lungi dall'essere gratuita, generosa, disinteressata, è costosa, avara e profondamente interessata. Ma a cosa? Si potrebbe rispondere, al bene comune, in questo caso alla pubblicizzazione di un determinato servizio, di una certa immagine di paese, di una certa immagine di luogo. Ma non è vero, la committenza di solito tende solo a riprodurre se stessa e quindi la propria ignoranza, la propria non cultura, o meglio una cultura precedente, una cultura del passato. Proviamo a riflettere su come possono essere in genere concepiti i libri costruiti su committenza per documentare lo spazio di un paesaggio, i luoghi di una città, il territorio. Non si può certamente generalizzare perché ogni paese ha le proprie tradizioni e quindi una propria “retorica fotografica”, ma è certo che se negli Usa il documento sul paesaggio nasce dalle pagine del "National Geographic Magazine” e con questo modello si intrecciano i documentari sulla vita deglianimali della vecchia Disney e quindi, più di recente, una coscienza antropologica diffusa; se in Inghilterra il documento civile sul paese appare radicato nella cultura fotografica, quantomeno dalle mitologie pittoriche di Fox Talbot in qua, ma trasformato dalle esigenze di un ben diverso atteggiamento maturato forse anche al tempo di guerra sotto le V1 e V2 naziste; se la Francia viene proponendo, almeno dagli inizi del secolo conAtget, un documento di Parigi e dunque delle città che esula dalla cultura retorica e contrappone alle immagini in asse dei monumenti, alla bellezza dei tronfi colonnati e alle infilate di fontane e architetture del verde da Versailles in qua, un tessuto diverso di rappresentazione; se tutto questo è vero, in Italia le cose appaiono alquanto diverse. Prima di tutto da noi è a lungo durato l'impianto delle immagini degli Alinari nella loro seconda stratificazione, dopo quella di fine Ottocento e inizi Novecento che vedeva felicemente accanto a loro anche gli Anderson e i Brogi; parlo di quell’immagine essa pure frontale e retorica dei monumenti e dei paesaggi, che nasce all'interno della cultura più ufficiale, quella fascista, che privilegia il finito rispetto al non finito, la veduta difronte oppure lo scorcio controllato e le linee di fuga che non siano distorte, e che esige una rappresentazione da manuale di storia dell'arte non solo dei monumenti ma dei paesaggi. I paesaggi delle cartoline, per intendersi, non sono che la divulgazione, come le foto delle opere d'arte, di questo genere di modelli e sono talmente strutturali nella nostra cultura da impedirci di proporre altre immagini. Cosi cogenti da costringere i gitanti, coloro che usano la fotografia come documento del loisir, a ripetere di quelle immagini retoriche l’impianto. Invece la prima generazione delle ricerche fotografiche sulla campagna e la città e i loro "monumenti", quella dell'ultima parte del secolo XIX, aveva visto una tradizione diversa della fotografia con un rapporto diretto fra cultura pittorica e impianto compositivo che, di conseguenza, appare molto più ricco di stimoli e di suggestioni, uscite in parte dalla cultura settecentesca, in parte da quella ottocentesca delle diverse tradizioni pittoriche regionali. Foto napoletana e pittura napoletana dell’Ottocento, foto lombarda e pittura lombarda dell'Ottocento, ecco una strada che è stata percorsa utilmente anche dalla critica.
In Italia, salvo forse per lo Studio Stetani di Milano che documenta con sequenze spesso eccezionali un diverso modo di fare immagini per il Tci, le immaggini del turismo appaiono legate all'antica retorica del paesaggio le cui radici abbiamo cercato di ricostruire, e dunque legata all’idea che fotografare voglia dire ripetere un modello già dato, non proporre il nuovo, ma fare subito riconoscere il vecchio a chiunque lo veda; ecco forse perché le vedute degli edifici che diventano luoghi simbolici di una città sono sempre quelle, regolarmente ripetitive, ecco perché i colori sono costruiti in modo sempre più artificiale, spesso in stampa tipografica per i manifesti e per i libri, in seguito anche in fase di stampa delle foto, stampa che può oggi avvenire attraverso vere e proprie trasformazioni dei colori delle riprese. E cosi le nostre città diventano da luoghi vivi luoghi retorici di un racconto obsoleto e l'aspirazione di tutte le città del resto non sarà certo quella di avere un documento reale della propria esistenza e del rapporto fra "monumenti e spazi del vissuto, ma semplicemente e soltanto avere esse pure una immagine tanto ripetuta e ossessiva da essere accettata senza traumi, senza scosse, quasi come ovvia, dal pubblico. In questo panorama di volumi turistici che pubblicizzano non solo le singole città o le singole regioni italiane ma anche e sempre allo stesso modo le terre straniere, in questi volumi che illustrano l'Anatolia oppure il Messico, si inseriscono qua e là alcune rotture, alcune fratture che cercano di modificare la committenza. Lo fa per esempio Luigi Ghirri proprio operando per il Tci, lo fa inparte Albano Guatti per volumi su paesi medio americani o mediorientali. Ma la rivoluzione profonda dentro il sistema delle riviste e vedute di paese è portata avanti dalla foto di cronaca e dalla cultura del documento civile, la cultura insomma degli inviati che, progressivamente, erode le belle immagini, le rende inaccettabili persino da parte degli enti turistici di tutto il mondo. Difficile dunque leggere la Cambogia come nei depliant del passato dopo la guerra dei khmer rossi, difficile pensare al Vietnam come un tempo, difficile vedere il Libano come una verde oasi, oppure considerare la Siria e lo stesso Israele solo per i loro antichi monumenti: difficile leggere poi l'America Latina del Perù o del Brasile dopo le rivolte di Sendero Luminoso, oppure dei contadini, utilizzando le antiche immagini retoriche e la loro colorata, falsamente asettica tranquillità. No, tutto questo viene progressivamente finendo, anzi e già finito perché al turismo tranquillo di un tempo risulta impossibile da praticare e gli interessi della gente che viaggia cominciano a rivolgersi alle realtà del paese e non ai luoghi simbolici di un viaggio che è sempre cultura di conquista, retorica di una invasione diversa ma non dissimile da quella antica dei colonizzatori. E del resto noi, al mondo, abbiamo imposto da sempre un’immagine turistica e quella immagine intendiamo mantenere, tutelare, fissare. Ma il mondo è cambiato e proprio i nostri fotografi, dico i fotografi occidentali tornati sulle due rive dell'Atlantico, hanno reinventato la realtà per cui adesso risultaimpossibile vivere fotograficamente alla vecchia maniera, risulta impossibile pensare quella realtà come lo si faceva un tempo. Così la committenza moderna di libri su un luogo, su un paesaggio, ha finito per essere a un bivio: o mantenere il vecchio discorso e fare un libro tanto uguale agli altri da essere déjá-vu, e quindi in partenza inutile, oppure affrontare nuove strade. Che questo sia difficile lo sa bene Giovanni Falcone che il suo lavoro su Malta ha pronto da due anni e solo adesso lo pubblica nonostante l'attenzione critica e l'impegno di molti per realizzarlo. Il libro, un libro su Malta e un pezzo della Sicilia, mette insieme dunque Malta e Bagheria. Perché? E come ha costruito Falcone questo suo terzo lavoro sulle terre del sud? Falcone ha un'esperienza precisa della retorica e della Sicilia, dunque conosce perfettamente le strade assolate, le donne vestite di nero, lo spazio delle vie bianche nel sole, i muri che segnano le strade e percorrono e ritagliano riquadri nelle campagne, conosce i fichi d'India e le pareti dipinte delle strade di paese, conosce i monumenti barocchi e le loro rovine e il rapporto antico fra uomo e animale che è nella storia delle terre contadine. E conosce anche il colore della retorica, quel colore violentemente caricato, quel colore accentuato che impedisce di leggere trasparenze diverse mettendo tutto in una luce abbacinata, sotto cieli di cobalto. Ma a Falcone il colore non interessa in
modo particolare e sceglie quindi riprese in bianco e nero, e sceglie anche di documentare, per la Sicilia prima, per Malta poi, una storia differente, in certo modo molto più complessa. Falcone ci racconta come è andato a Malta, che cosa ha visto, come ha proceduto, e non mi sovrapporrò al suo breve diario, fatto con me dialogando davanti al computer. In realtà Falcone ha portato avanti un viaggio dentro Malta alla ricerca del diverso e in parte lo ha trovato, in parte ha riconosciuto Malta come un testo, un luogo denso di cultura mediterranea e per questo profondamente legato alla "sua Sicilia". Il nuovo, in Malta, Falcone lo individua nelle sovrapposizioni della cultura anglosassone, e nelle presenze di questa cultura nelle villette monofamiliari, neibow-window, nelle strutture di alcuni edifici pubblici e nel loro impianto, ma l'antico, la storia, appaiono a Malta dominanti. Falcone li coglie, con lunghe pose e lunghe inquadrature, attraverso poche immagini attentamente meditate, facendo dunque a Malta una campagna di riprese mirata, non certo una campagna del genere di quelle dei cronisti della fotografia. Falcone coglie quello che fa di Malta una terra legata alla civiltà più arcaicadelle isole mediterranee, da Creta alle altre dell'Egeo, ma anche alla civiltà della penisola, alla cultura dell'Italia del sud. Intanto coglie il rapporto fra terra e roccia, fra costruito e spazi aperti, quindi il rapporto fra strutture edificate e mare. Falcone a Malta rivisita un poco ovunque le fortificazioni, scopre il cannone sulla piazzola,scopre le culatte lustre, scopre i dettagli del metallo usurato e quelli delle pietre consunte, esse pure, dall’uso. E poi scopre i paesaggi, scopre il Sole e le ombre e organizza un’architettura, una geometria degli spazi che non è pensabile senza un'approfondita esperienza della tradizione fotografica del Bauhaus ma anche della cultura che ci ha fatto ritrovare nella materia il senso della realtà delle cose, diciamo dalla Land Art all'Arte Povera. Cultura pittorica e cultura della fotografia che si vengono trasformando? Certo, e poi anche tradizione della fotografia, citata in modo programmato ed evidente, scegliendo dentro una linea continua che va dalle vedute della Fsa di Dorothea Lange e di Walker Evans tino a Weston e Lee Friedlander e poi fino a Ghirri e Gabriele Basilico. Ma trovare le parentele per le immagini della fotografia, dunque trovare il senso delle immagini stesse, perché le foto costruiscono il senso delle immagini, e fin troppo facile, conviene invece scoprire il diverso delle foto di Falcone.
Ed ecco prima di tutto una dedizione alla ricerca che non e comune, in ogni ripresa troviamo idee diverse della rappresentazione e il senso di una fisicità, di una materialità tangibile che solo nasce da una diretta esperienza delle cose. Questa Malta immobile nel tempo, questa Malta bloccata dentro un Sistema di mura, questa Malta da dove vedi lontano soltanto quando sei alto sulle sue molte fortezze, sul porto oppure sulle rocce, questa Malta dai cieli cupi invece che bruciati dal sole, questa Malta dove i transiti delle persone sono calibrati, limitati, dove miracolosamente, volutamente, non trovi il turismo del quotidiano ma solo le memorie, le tracce dell'antico e certe rare figure a persone, questa è una Malta assai diversa dal modello turistico, appunto, che siamo soliti vedere nei libri e sui pieghevoli.
E' una Malta durissima, quella stessa che probabilmente ha vissuto Caravaggio, quella stessa che a hanno visto per secoli i naviganti dal tempo fenicio in qua e che solo a fatica riesci a leggere senza un libro che sia al tempo stesso denso di discorso critico ma anche di umana partecipazione. Il rapporto fra Malta e la Sicilia è un discorso che credo a Falcone interessi molto perché in fondo i suoi libri precedenti, appunto sulla Sicilia, hanno cercato di analizzare l'isola fuori della retorica delle icone tradizionali provando invece a descrivere
lo spazio dei suoi paesaggi e il rapporto cielo-rocce-edificato, e ancora l’impatto violento del particolare per fare capire il senso di una fisicità altrimenti intatingibile. Falcone stampa per proprio conto le fotografie e quindi ottiene dei risultati significativi proprio a livello di esperienza grafica sulle immagini; scandendo gli ingrandimenti, slabbrando qualche contorno, accentuando i contrasti, ottiene una tensione dentro le foto che non è comune, che non è consueta. Non fatevi ingannare da queste foto apparentemente pacificate, si tratta di icone tese, intense, dove si deve scoprire, in ciascuna, un netto contrappunto, un sistema di contrasti. E non fatevi ingannare da un libro apparentemente di documento sul paesaggio, siamo davanti a un libro che ci parla di civiltà del vivere, del come architettare gli spazi, del come collegare l’umanizzato a un “naturale” che viene progressivamente rimosso. Il lavoro di Falcone su Malta e sulla Sicilia riscopre quello che le due terre collega e deve essere inteso come uno scavo archeologico, uno scavo dentro la memoria. E come tutti gli Scavi porta alla luce realtà sepolte, dimenticate, permette di leggere nei dettagli un universo altrimenti rimosso, ma non vuole portare questi frammenti, scoperti attraverso la fotografia, dentro un museo, non vuole chiuderli per sempre nelle bacheche della contemplazione, ma chiede che questo modo di riscoprire, strato dopo strato, il senso di unaterra civilissima come Malta e di correlarla all'altra, altrettanto antica, la Sicilia, diventi percorso
comune, strada che tutti devono imparare a percorrere. Come ho detto all'inizio certi libri, lo si capisce bene, quelli retorici da cui siamo partiti, non servono a nulla, altri invece sono importanti non solo per rimuovere per sempre, dalla nostra memoria collettiva, quelle immagini in cartolina, quella concezione deleteria del turismo, sono importanti perché aiutano a pensare.
A pensare le persone, la loro storia, le tracce che ci hanno lasciato, ma anche a vivere in modo non rituale, uno spazio e antichissimo ma sempre moderno e vitale di esistenza. Dunque Malta, la Sicilia, dunque fotografia come archeologia del tempo.
Arturo Carlo Quintavalle, Dalla Sicilia a Malta, Parma, 1996
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