Giovanni Battista Maria Falcone

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In Principio

Enrico Franchi, Fausto Maria Franchi 

 

Giovanni Battista Maria Falcone

 

Eugenio Maria Falcone Editore Palermo 2009

 

ISBN 978-88-88335-67-4

Il linguaggio del corpo e della mente

 

di  Aurelio Pes


 Un violento fortunale costrinse un giorno Maurice Ravel a riparare frettolosamente, con pochi intimi, in un casolare abbandonato. A Parigi, tre giorni dopo, guardandosi allo specchio barbuto, i capelli incolti, gli occhi infossati per l'insonnia: "Sembro un artista", dicono esclamasse costernato. Thomas Mann, a sua volta, la cui vita di scrittore, lunga e feconda, fu aureolata sempre dal successo, ma anche da incredibili tragedie, comel'abbandono della patria, la Germania, e della madre lingua, cui fu costretto dall'incalzare del nazismo, - in un libro magistrale: Romanzo d'un romanzo, indicò la data per lui fatidica della sua esistenza, nell'uso che invalse in società di stirare i pantaloni con la piega, in sostituzione di quelli a tubo, a lungo ritenuti più eleganti.

 

  È la cura dei dettagli, anche infinitesimi, e per gli altri di nessun valore, a sostanziare l'opera dei grandi artisti, a donarle quel sentore particolare di vita, unico e irripetibile, che nasce dalla nostra capacità di arrestarci all'increspatura delle cose, quando riusciamo a privilegiare, alle cattive infinità, l'incanto delle forme, dei suoni,delle parole, dell'intero Olimpo delle apparenze, secondo l'aureo monito di Nietzsche. E ad altrettali intenti fa pensare, si dai primi incontri, Giovanni Battista Maria Falcone, con quel suo corpo disincarnato, quei suoi abiti lunghi e scuri, quel suo aplomb complessivo alla Edgar Allan Poe - di cui, in alcuni temi e predilezioni, soprattutto nei notturni, egli sembra perseguire una vita parallela - con quei suoi occhi infine rapidi a cogliere il trascolorare delle cose, l'ora ferma che spande il suo torpore sulle piante umili e i paesaggi desueti, o sulle visioni che avvicendano la notte al giorno, quando gli Dei manifestano il loro volto evasivo. Il tutto, con la sottile inquietudine che si avverte alle soglie d'un mondo altro, o quando si pretende armonizzare l'immaginazione estatica e la logica severa, fusione ardua ma necessaria per dare origine all'universo poetico che Jaan Paul chiamava degli “uomini alti”, e Nietzsche invece, alcuni anni dopo, del superuomo.

 

   Alla prima alba e al tramonto, dunque, appena il lucore dietro le colline è paragonabile a quello che rischiara i nostri sogni, indossando i suoi abiti cerimoniali, Falcone muove a caccia di fantasmi, che sono poi quelli della sua anima segreta. E che consistono non nel raccontare la natura, bensì nel ridestarne, con lieve incedere, le emozioni poetiche: alla densità opaca del reale, alla vanità dell'aneddoto, alla superfluità del soggetto, sostituendosi ora rappresentazioni di città attraversate da coni d'ombra geometrici, irte d'abitazioni misere, castelli araldici, tonnare abbandonate all'immondizia e ai detriti; manufatti che evocano però la sensazione tattile della pietra, delle cortecce d'alberi residue e delle radici, divenute così nobilmente familiari alla sensibilità e al pensiero di tutti noi. E allo stesso modo si spiegano, nelle sue tabulae più preziose, quei cieli notturni squarciati da fosfori immateriali; la solitudine e il silenzio degli ambienti; l'agave che si schiude quando la goccia di rugiada che la imperla, rifrange l'universo; o quegli orizzonti panici, animati da parvenze edeniche, dove, come in William Blake, si intuisce la presenza degli angeli.

 

   Se dunque compito dell'immagine autentica è precipuamente quella di rendere una superficie visibile - secondo la lezione memorabile di Susanne Langer - i cieli, i paesaggi, i ritratti di Falcone riescono, ancor più, a rendere visibile persino l'invisibile. Di conseguenza, anche il colore aspira qui a una identità assoluta, sottratta al sensorio comune, e aperta alle epifanie atemporali, quando tutto è ancora da compiere, ma già si prefigura il sorgere e declineare della vita. E dove, oltre la realtà, è l'archetipo che la sovrasta a prendere consistenza, al sapiente costruttore di prospettive e disegnatore d'architetture, attribuendo infine l'unzione solitaria d'un creatore, raro in ogni tempo, capace, come voleva il Bibbiena, di sognare i nuovi mondi che insorgono fra le tenebre fitte e l'abbagliante luce meridiana.

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