© 2018
Mimmo Di Cesare Giovanni Battista Maria Falcone. Testi di Vittorio Fagone e Gillo Dorfles Palermo 2009 ISBN 88-88335-49-0
Eugenio Maria Falcone Editore
Giovanni Battista Maria Falcone
fotografa l'opera scultorea e orafa di Mimmo Di Cesare
di Vittorio Fagone
Osservando le felici e puntuali fotografie che Giovanni Battista Maria Falcone ha realizzato per documentare la recente opera scultorea e orata di Mimmo Di Cesare, esposta con successo a Castiglioncello, in Toscana, e a Palermo, mi sono sentito obbligato a recuperare quanto già notato criticamente in memorabili occasioni espositive promosse dalla Galleria specializzata Stendhal di Milano che mettevano a stretto e positivo contatto scultura e fotografia. In uno dei primi e più fortunati libri sulla fotografia pubblicati in Italia (Paul N. Hasluck), La fotografia, Unione Tipografica Editrice Torinese, 1905) si può leggere «Ben pochi hanno verso la fotografia tanto obbligo di riconoscenza quanto gli autori di monumenti, statue… la fedeltà assoluta è condizione essenziale e il fotografo deve essere preoccupato solo di rendere il soggetto con verità assoluta di linea e di modellatura». Questo «obbligo di riconoscenza» non doveva però essere cosi enorme se nel 1921 il grande storico dell'arte Heinrich Wòlfflin nel suo Das Erklaren von Kunstwerken («Avvicinamento all’opera d’arte») sentiva la necessità di ribadire un avvertimento, già qualche anno prima formulato, a proposito dellarelazione scultura e fotografia.
Attenti, diceva Wòlfflin, ai giochi della fotografia che non avvicinano, come si pretenderebbe, questa alla scultura, ma privano solo la scultura di un contesto spaziale e ambientale, di prospettive e di relazioni, psicologiche e geometriche prima che estetiche, sempre presenti nell’«idea» e nell'opera di uno scultore. La scultura è per Wòlfflin una dimensione della fattualità artistica obbligata a vivere con lo spazio-ambiente una relazione che ne specifica senso ed evidenza. La costanza di questa relazione, dimostrata sulla scultura gotica e barocca, si espande a tutti i fenomeni riconducibili alla scultura, fuori da chiusi comparti cronologici, tecniche e generi. C'è qualcuno che nel virtuosismo, non richiesto ma dilagante, di molti fotografi che incontrano la scultura, può ritenere esagerata o oggi inattuale la preoccupazione di Wòlfflin? Se si esaminano i rapporti tenuti con la fotografia da due dei grandi «padri» della scultura moderna, Medardo Rosso e Constantin Brancusi, la riflessione di Wòlfflin trova conferme decise.Medardo Rosso amava leggere le proprie sculture attraverso la fotografia, che egli personalmente «guidava», esaltando il rapporto materia-luce in una sorta di rarefazione spaziale.
Le mostre dell'opera di Brancusi realizzate negli ultimi decenni hanno rivelato con quanta cura, anche qui in assoluta concordanza con la lezione wolfliana, lo scultore rumeno collocasse tra luce e spazio le proprie sculture quando le fotografava, plasticamente definite come oggetti chiusi e nello stesso tempo simboli generanti, correlate sempre con la spazialità netta dello studio. Nel lavoro fotografico di Falcone dedicato alle sculture e ai gioielli di Mimmo Di Cesare, il contesto luminoso e ambientale in cui le diverse opere vengono presentate acquista un valore particolare in quanto esso vale ammettere in risalto non solo ogni dettaglio compositivo ma soprattutto a rendere riconoscibili le complessive risultanze formali.
© 2018